Li preferisco al cioccolato

confetti

Confetti e bomboniere (e beneficenza)

“Avremo girato almeno 200 negozi e non sto esagerando. E questo solo dopo aver fatto una lista dettagliata dei 122 possibili oggetti da utilizzare per una bomboniera. All’inizio, mia moglie, che era allora la mia ragazza, sembrava avere le idee molto chiare, ma mi sbagliavo. Aveva detto qualcosa come ‘Vorrei qualcosa di classico per tutti gli ospiti e un oggetto più originale, ma in tema, per i testimoni e i nostri genitori. Ci vorrà poco tempo!’ Mi ero illuso che, con una così buona partenza, ci saremmo sbrigati in fretta. Macché! Era un’odissea senza fine, a partire dai negozi di cristalleria di lusso per arrivare a quelli di commercio solidale, passando per ogni vetrina che potesse avere un oggetto interessante, originale o classico che fosse. Non parlavamo quasi d’altro ormai.”

Poi arrivò una notizia, e non posso neanche dire “per fortuna”, perché non era certo bella: mio fratello aveva scoperto che la bambina che aveva adottato un anno prima era affetta da una malattia che da noi è pressoché sconosciuta. Si chiama oncocercosi, molti la conoscono come “cecità fluviale”, ed è una malattia parassitaria degli occhi e della pelle che, se non curata, può portare alla cecità. I medici ci hanno spiegato con una pazienza ammirevole che è trasmessa da certe mosche nere, le Simulium, che vivono vicino ai corsi d’acqua in alcune aree dell’Africa. La bambina infatti veniva proprio da lì e, quando era arrivata, non risultava affetta da nessuna patologia: gli esami erano tutti nella norma. A quanto pare, però, l’incubazione può durare mesi, a volte addirittura anni, e i segni si manifestano piano piano. Una volta confermata la diagnosi, i medici ci hanno rassicurati: era stato un bene arrivarci presto, perché intervenendo in tempo le conseguenze sarebbero state minime. Ricordo ancora le telefonate concitate, le notti un po’ insonni di mio fratello e di sua moglie, la paura sorda che ti si attacca addosso quando senti pronunciare parole come “cecità” riferite a una bambina che ami. Ma ricordo anche la competenza del reparto, l’organizzazione con cui hanno impostato la terapia e i controlli. Ci hanno spiegato che l’oncocercosi non si trasmette da persona a persona, che il parassita vive nel tessuto sottocutaneo e rilascia microfilarie che possono migrare agli occhi, causando infiammazioni e, alla lunga, opacità della cornea. Hanno parlato di farmaci come l’ivermectina, utilizzata da anni in programmi di salute pubblica proprio per tenere a bada la malattia, e di come, nei casi necessari, si possa ricorrere anche ad altri trattamenti e a controlli periodici per evitare danni permanenti. La bambina ha seguito il percorso indicato e, con un rigore quasi adulto, ha affrontato visite, gocce, luci puntate negli occhi, test e attese. Poi, finalmente, la notizia che tutti aspettavamo: stava migliorando. Alla visita successiva, il verdetto che ci ha restituito il respiro intero. Era guarita e non avrebbe perso la vista. Questo scossone, però, ci ha cambiato dentro. Ci ha dato una prospettiva diversa su tante cose che, fino al giorno prima, consideravamo dettagli. Per tornare a noi, quella esperienza ha orientato con una chiarezza improvvisa anche una decisione che sembrava marginale ma che, in realtà, porta con sé un significato: le nostre bomboniere. Con mia moglie ci chiedevamo da settimane come conciliare tradizione e autenticità, come evitare di distribuire l’ennesimo oggettino destinato a essere dimenticato su una mensola. All’improvviso, grazie alla storia di nostra nipote, avevamo davanti un filo conduttore limpido: trasformare quel gesto in qualcosa di utile, tangibile, che potesse aiutare altri bambini a evitare la stessa paura. Così abbiamo iniziato a cercare su Internet e abbiamo trovato un’associazione che si occupa di prevenzione e cura della cecità infantile nel Sud del mondo, con progetti di screening, formazione di operatori locali e distribuzione di farmaci essenziali. Tra le loro proposte c’erano le cosiddette bomboniere solidali: invece di acquistare soprammobili, si devolve una parte significativa della spesa a sostegno dei programmi sul campo. Abbiamo scritto una mail, poi ci siamo sentiti al telefono con una volontaria gentile e preparata, che ci ha raccontato come il ricavato venga impiegato, dai kit per la diagnosi ai cicli di trattamento, fino alle campagne lungo i fiumi dove le mosche depositano le larve. Ci ha colpiti la serietà e la trasparenza con cui spiegava ogni fase, ma soprattutto la concretezza: con un certo numero di bomboniere si coprivano, ad esempio, screening o dosi di terapia per bambini come nostra nipote, in aree dove l’accesso alle cure non è scontato. Alla fine abbiamo scelto un modello semplice, elegante, in carta riciclata color avorio, con un nastrino tenue che riprendeva i colori del nostro invito. All’interno c’erano i confetti, come vuole la tradizione, e un cartoncino con una frase che avevamo deciso insieme: un ringraziamento agli ospiti e una breve spiegazione del progetto sostenuto. Abbiamo perfino chiesto di aggiungere un piccolo foglietto informativo sull’oncocercosi, scritto con parole comprensibili, per far capire che dietro quella scelta non c’era soltanto un’idea astratta di generosità, ma un problema reale che tocca milioni di persone e a cui, nel nostro piccolo, volevamo contribuire. Come ho detto a mia moglie, alla fine le nostre bomboniere erano classiche nell’aspetto, perché ormai molti associano la solidarietà a questi piccoli gesti concreti, ma anche originali nello spirito e decisamente significative. Abbiamo seguito la tradizione dando bomboniere differenti ai testimoni e ai genitori, come si usa fare per dare un segno di attenzione in più, mantenendo però coerenza di stile, visto che provenivano tutte dalla stessa associazione. Per i genitori abbiamo scelto una versione con una piccola stampa artigianale che ritraeva una pianta di baobab, simbolo di resistenza e di radici, e per i testimoni una variante con una fotografia in bianco e nero di un corso d’acqua africano: un richiamo discreto ma eloquente all’origine della nostra scelta. In ogni confezione, accanto ai confetti, c’era un certificato dell’associazione con il nostro nome e la data, e la specifica del progetto sostenuto. Sono dettagli, certo, ma raccontavano una storia, dandole continuità. Il giorno della cerimonia, quando è arrivato il momento di distribuire le bomboniere, ho percorso i tavoli con una calma che raramente mi riconosco. Guardavo i volti degli amici, dei parenti, qualcuno che non vedevo da anni. Ho notato qualche lacrima qua e là, soprattutto quando leggevano il cartoncino e capivano. Una zia mi ha stretto le mani e ha detto piano che quella bambina, anche se non era lì, era entrata nelle vite di tutti noi. Un amico, medico, si è complimentato per la scelta e ci ha raccontato di come, in alcuni Paesi, intere comunità abbiano visto diminuire drasticamente i casi grazie ai programmi di distribuzione dei farmaci. Mio fratello, che temeva di commuoversi troppo, ha alzato il calice e ha detto solo grazie, con una voce che diceva molto di più di qualsiasi discorso preparato. Quella sera mi è sembrato che ogni gesto, anche il più rituale, avesse preso spessore. I confetti, i sorrisi, i brindisi: tutto si legava a un filo diverso, fatto di cura e di memoria. E la cosa più bella è stata l’eco che ha avuto dopo. Nei giorni seguenti abbiamo ricevuto messaggi di amici che ci chiedevano i contatti dell’associazione; qualcuno ci ha mandato la foto della bomboniera a casa, non su uno scaffale dimenticato, ma vicino alle chiavi o accanto a un libro importante. È un’inezia, lo so, ma mi ha dato la misura di quanto un gesto semplice possa generare piccoli cerchi nell’acqua. Credo che quelle bomboniere verranno ricordate più a lungo di tanti altri oggetti che finiscono come soprammobili messi da una parte a raccogliere polvere. E non perché fossero più belle o più costose, ma perché dentro c’era una storia vera, con una paura, una cura, una speranza. In fondo questo volevamo: dare alla festa un significato che restasse nel tempo, ringraziare i medici che hanno curato nostra nipote, gli operatori che lavorano lontano da noi, e i nostri ospiti, che hanno condiviso con noi non soltanto un giorno felice, ma un modo di stare al mondo un po’ più attento agli altri. Se una bomboniera può fare tutto questo, allora sì, ne è valsa davvero la pena.

Le bomboniere solidali sono ormai diventate una vera e propria tradizione. Ne esistono moltissime, proposte da associazioni diverse, in forme e colori vari: oggetti generalmente semplici ed essenziali, ma ricchi di significato. È curioso che, in occasioni in cui si spende di norma molto, si riesca a donare e a fare del bene proprio mentre si risparmia. Nel racconto precedente, riportato integralmente, il gesto di solidarietà nasceva da un evento personale; era però evidente che già prima c’era l’intenzione di cercare soluzioni solidali, ad esempio nei negozi del commercio equo e solidale. Anche quando una storia non ci tocca da vicino, ci sentiamo coinvolti di fronte a eventi tanto drammatici e tiriamo un sospiro di sollievo quando tutto si conclude per il meglio. Ecco perché è utile dare una mano in questa direzione e, perché no, fare anche un’ottima figura—forse più che con cristalli e porcellane: nessuno oserà criticarvi per una scelta solidale! Anche online si trova molto. Poiché questo racconto ci ha colpito in modo particolare, desideriamo segnalare l’indirizzo dell’associazione ONLUS a cui si sono rivolti questi ragazzi:

http://www.cbmitalia.org

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